Nonostante

Settembre è iniziato; poi è sparito senza quasi che sapessi cosa stava succedendo. Catapultata dalla California a un’orribilmente calda Bologna non mi sono granché capacitata che tutto era finito, che avevo detto addio, che allora dai, forza, era il momento di ricominciare da capo. Settembre lo odio sempre, quindi forse è un bene che sia passato un po’ così, tutto sommato inutile. Ho anche pensato poco all’America, presa com’ero dalle ripartenze e dalle classi che si riempivano. Mi sono persino preoccupata, di questa dimenticanza muta, inspiegabile. Forse è come quando ascolti un disco all’infinito, giorni giorni giorni e settimane, e poi hai necessità di toglierlo, altrimenti suona a vuoto nella testa; ma quando lo togli, di colpo svanisce, non esiste più, e non ci pensi fino alla volta dopo. Resta tuttavia come una specie di filo interrotto nella testa, che ti sembra di non avere.

Nel frattempo ho rivisto le strade aranciate di questa città, cominciato e finito storie che m’hanno fatto piangere – damn, you know the worst thing is that I fucking love you -, continuato altre che mi fanno tanto ridere – parkour! – e ordinato decine di libri che non leggerò. Ho vissuto parecchio dentro e poco fuori, immaginando cosa avrei potuto fare invece di farlo. Mi sono data alle malinconie solo due volte, ascoltando: uno, This feeling degli Alabama Shakes; due, quel po’ di Joni Mitchell che posso ancora permettermi. Mi sono, nel complesso, fatta poche domande e ho cercato di dormire più che potevo; per farlo meglio ho addirittura pulito il comodino accanto al letto, una cosa che non succedeva da almeno quattro anni. Mi sono sentita così eroica che dopo, in casa, non ho più fatto nulla, a parte cucinare linguine al pesto e stappare champagne.

Nell’uniformità umida e appiccicosa di settembre, piccole luminosissime scintille mi sono rimbalzate intorno. I quasi riccioli del mio Foscolo e l’abbraccio tutto sbilenco che ci diamo. Venezia all’alba. San Luca nella notte e l’aria fresca del terrazzo. Gli occhi blu del Leopardiano, che come sempre mi confondono e mi scrutano, sfilettandomi come un branzino idiota. Le cartoline con su scritto l’Infinito. Far finta di ballare balboa e invece no, riconoscendosi e annusandosi nella giungla tropicale dei ballerini che gocciolano sul pavimento sudore e materiale da romanzo d’appendice.

Non mi piace settembre ma mi è piaciuto che a settembre la Nina abbia iniziato il liceo. E vederla ridere, raccontare, cambiare sotto riccioli sempre più folti e dentro le sue converse. Dà la misura del tempo; della bellezza crudele del suo scorrere. Di tutto quello che eravamo e non siamo più. Come quel disco che spengi; come l’America a cui non pensi. Si stacca un filo, zac, per necessità. Ma il filo resta comunque lì, immobile in quella piega del cervello che dirà sempre chi sei, e cosa vuoi, e cosa diventerai. Nonostante ogni settembre.

Nonostanteultima modifica: 2019-10-03T14:53:06+02:00da capecchi
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