Taxi

T’infili nel taxi e la città – Bologna, New York – scivola via lucida e notturna anche se sono le sette di sera. Pensi a un sacco di cose; a nulla. Guardi i fari che brillano, è quasi Natale e osservare tutto da dietro i finestrini è la condizione perfetta per raggiungere una chiaroveggenza svagata e leggera, che dura un attimo ma ti lascia sorridente. Infatti sorridi molto e ti godi il contrasto fra il freddo delle guance e il caldo dei cappotti, delle sciarpe, della vicinanza: una delizia tutta invernale. Sfilano via gli alberi lungo il viale e intanto ti viene in mente il blues. Ci pensi da un po’, in realtà.

Non vuoi ballare blues ma il tuo corpo non lo sa; e quello fa: balla blues. Una virgola selvaggia che ti farà sempre sussultare; o spaccare porte. Ma per una che s’immagina d’essere dentro un film di Woody Allen – è ovvio – la cosa non funziona. Lì si fa conversazione in case piene di libri e luci basse, ascoltando qualcuno che canta al pianoforte Everything happens to me. Fuori, l’Upper east side sfodera tappeti di foglie gialle; tu, naturalmente, indossi un cappotto di lana color cammello e cammini in pantaloni sartoriali con scarpe stringate basse. Un posto e un tempo, insomma, in cui certo mai ti sogneresti di ancheggiare umida in qualche sottoscala africano. No, non vuoi proprio ballare blues, ma bere gin e vermouth con Gatsby Welles dentro al Carlyle, seduti a tavolini piccoli, progettando di giocare a nascondino fra le mummie del Metropolitan. E te lo giuro, te lo giuro, io non sarò mai una che confonde Shakespeare e Cole Porter; il secondo è per me come il monossido di carbonio per te: necessario alla sopravvivenza.

I lampioni lungo la strada lasciano scie come solo da dentro i taxi, tutto si confonde in una poltiglia da commedia romantica mentre in una sola corsa d’auto la città cambia faccia mille volte: devi solo decidere quale va bene per te. Stasera – sempre – sceglierai il profilo di Manhattan e deciderai di avere un corpo nato per il jazz, modellato in vestiti corti con le frange di lustrini. E farai finta di non ricordarti che in realtà non puoi nemmeno guardarti, mentre balli jazz: se per caso ti capita infatti di vederti, finisci ogni volta per odiarti, con l’implacabile mancanza di compassione con cui si è soliti guardare a noi stessi. Maledetto blues, tutta colpa di quella roba lì che ti ringhia dentro.

Ma per fortuna ai lampioni, alla notte, a questa east side emiliana e ai tuoi compagni di viaggio di ora e di sempre non importa nulla se hai un corpo blues o gambe jazz. Forse quell’impasto d’Africa e tavolini del Carlyle mentre un pianista suona sono proprio ciò che li ha fatti partire e arrivare lì, stasera, a condividere con te un altro Natale, un altro inverno, un altro taxi.

Taxiultima modifica: 2019-12-09T17:50:21+01:00da capecchi
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