Il profumo

Il profumo delle serate in cui si balla è il mio. La rivelazione mi arriva d’improvviso, con singolare certezza. Solo che adesso non si balla più; allora ogni volta che me lo spruzzo e poi lo porto in giro fra i capelli, si spalancano davanti a noi mondi lontanissimi. Quando s’indossavano papillon e tacchi dorati, ci si tenevano le mani e – addirittura – si andava via alle tre di notte, nel buio brumoso e perfetto per nascondere il trucco sbavato. Poi prima di chiudere gli occhi ci si toglievano di dosso con sollievo gli abiti sudati e il profumo – il mio, quello delle serate in cui si balla – era ancora lì, a ricordarci che avevamo davvero ballato e sorriso e dimenticato tutto quello che c’era fuori; a volte anche chi eravamo noi. Perché lì, dentro quel profumo e quelle notti, eravamo solo due che entravano in pista e potevano essere Fred e Ginger nel 1935 o Ann e Frankie nel 1941 o quelli di Boogie un tutt’uno col soffitto e il pavimento, in un anno imprecisato pieno di sbagli da adulti e gin tonic nel bicchiere di carta.

Ma tutto questo ora non esiste. Non balliamo più fino all’alba e il gin tonic ce lo prepariamo nel bicchiere di vetro con un twist di limone ghiacciato. Noi siamo noi; basta. E ci siamo a fatica arrampicati fin qui senza sapere cosa succederà da oggi a domani. La sospensione ormai è l’attitudine costante del nostro animo, abituato da mesi a rimanere alla finestra: vediamo che succede, chi arriva, cosa si fa. Potrò abbracciarti? Vorrai abbracciarmi? Quando metteremo la musica senza pensare che un tempo era la nostra casa e ora è solo un rimpianto cui si cerca di pensare il meno possibile?

Tutto è stato vissuto come su un filo, in questi mesi: l’estate più strana che io ricordi è passata in lunghe mattine bolognesi di silenzio, attesa e pane tostato col burro. L’America era una voce che arrivava flebile a farsi ricordare quel tanto che bastava; ma non bastava mai. Sicché per non annegare nella mancanza dell’America, dello swing e dei ponti sull’oceano, abbiamo vissuto circondandoci del bello che ci veniva in mente: una piscina, i ristoranti deserti sul mare, minuscole calli sotto la luna veneziana.

Così settembre, dopo mesi di pensosa solitudine, ci è arrivato addosso come un treno. Non ci vogliamo credere: chi è venuto a tirarci fuori dal nostro guscio? Che vuole? Me ne sono accorta stamani nel giardino della scuola, a ricreazione, quando erano tutti lì a parlare, dietro le loro mascherine e le loro distanze: siamo ormai scaraventati in mezzo alla realtà, che è questa. Una mano dal nulla m’afferra lo stomaco e lo rovescia da dentro a fuori. Roba d’un attimo, poi passa. Forza, ragazzi, rientriamo in classe, riprendiamo a parlare di Carlo X (interessa a qualcuno, di Carlo X, dio santissimo? Perché a me, insomma, no).

Il profumo che scelgo a volte di avere addosso è lo stesso di quelle sere là che non esistono più. Forse è rimasta solo questa nube di vecchie possibilità, insieme alle scarpe consumate dentro un cassetto. Forse solo scenari dell’immaginazione che si sbricioleranno in un niente. Eppure – eppure, penso – finché c’è chi respira quel profumo e sa che quello è il profumo delle serate in cui si balla, ecco, allora tutto è vero; e vivo; e presente.

Il profumoultima modifica: 2020-09-24T20:13:01+02:00da capecchi
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