Umbria jazz / 2. Enrico Rava e Fred Hersch, nella luce

Sono le sette di sera e ci sono quaranta gradi, all’Arena Santa Giuliana. Una luce abbacinante ci inchioda alle seggiole e ritaglia il palco nero nero in una specie di quadro impossibile. Dentro il quadro sta Enrico Rava in camicia bianca e capelli al vento. Al piano, un Fred Hersch minuscolo, col suo viso di carta, che pare venuto lì senza volerci disturbare. In mezzo a tutta quella luce da fine del mondo, la tromba brilla di più e attacca Retrato en branco y preto – che incidentalmente è uno dei miei pezzi preferiti; uno di quei pezzi che farebbe ribaltare le viscere a chiunque. In più siamo in una bolgia dantesca, tutti immobili, tutti increduli; pochi, anche. Sicché quel suono ci arriva addosso come una lama di coltello ghiacciato passata gentilmente su una guancia: un conforto cercato e temuto. Poi c’è il piano di Hersch. Sono smarrita. Ha un modo di suonare che all’inizio quasi non noti, pare sparire. Poi pian piano ti entra dentro con un suono netto e gentile, con poche note misurate, eleganti. Eppure malinconicissime, chissà perché. Chissà quali tasti di preciso pigia, cosa fa per farti sentire così minuscola. Per qualche motivo che non so, poi, la tromba di Rava si unisce alla perfezione alla disperazione pacata di Hersch. Tanto che d’improvviso l’ostinato meriggio di Perugia diventa una notte misteriosa e surreale: Round midnight suonata da quei due ci lascia col fiato in gola, in attesa della luna – che dev’esserci per forza, lontano, da qualche parte. Ma invece è il sole che allaga tutto. Poco può il vento che spettina Rava. Vince il sole, che illumina lui, la tromba e il pianoforte di una luce assoluta, irreale. Intanto sul palco prendono Doxy del vecchio Sonny e la spezzettano tutta, la ricompongono, ne fanno minuscoli lego per abili costruttori. Io guardo le mie scarpe gialle, il palco, l’arena mezza vuota e penso a quante volte ho sentito suonare Rava. Cento, mille, non lo so più. Ma mai così. Mai nella spaventosa gloria di questo disteso mezzogiorno, con suoni che attraversano la luce e arrivano invece proprio qui, in un posto buio che chiameremmo anima, se non ci trattenesse il pudore. Enrico Rava e Fred Hersch hanno suonato come sull’orlo di un deserto e io c’ero. È qualcosa che ricorderò a lungo. Che penserò confusa e grata come si è sempre di fronte a tutto ciò fa sentire la vita nel momento esatto in cui scorre, anche contro il nulla che avanza.

Umbria jazz / 2. Enrico Rava e Fred Hersch, nella luceultima modifica: 2021-07-13T18:08:33+02:00da capecchi
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