Un orso

Oggi è stato avvistato un orso sul campus. Qui non leggo mai. Le due frasi non c’entrano nulla l’una con l’altra. Oppure invece sì.

Qui, come sempre, non leggo se non cose per le lezioni. Middlebury succhia via anima, tempo e sonno. Quando avanza mezz’ora, si dorme; ma è difficile che avanzi. C’è sempre qualcosa da fare, un compito da correggere, uno spettacolo da vedere, la biblioteca da esplorare, gambe nude da muovere nel sole. Vita che scorre e che t’attraversa. Inoltre questa è Middlebury ma dentro Bennington – il triangolo di Bennington – tra lo stato di New York e il Massachussetts: siamo in Vermont, sì, ma tutto è nuovo, tutto provoca stranimento e bisogna riprendere il passo giusto, che abbiamo perduto. Il fine settimana poi si fugge via, si scappa fuori dalla rete attraverso qualche maglia larga che è rimasta per miracolo o per forzosa scelta.

Sicché, insomma, qui chi può leggere?

Quando si legge – quando io leggo – è anche per spalancare finestre, diventare mille Tertuliano Maximo Alfonso e appiccicarsi addosso un po’ di identità desiderate. Passare da lei a lui, da lui a lei e salutarlo sulla porta con “Allora, ciao”, aspettando non che lui risponda ma che, piuttosto, ti ritiri dentro. Scoprirsi a ragionare per frasi avvolgenti e piene di parentesi, quasi fastidiose e invece perfette nel seguire il contorto flusso del pensiero; oppure parlare per enunciati secchi come schiaffi, essenziali come il giudizio sbagliato di un commissario Bärlach qualunque, troppo vecchio per dilungarsi. Le due, tre, infinite rifrazioni di sé dentro la pagina scritta finiscono qui per sgusciare fuori. Si è tutti fuori, in questo posto. Estroflessi e rovesciati nelle case di legno scrostato che tutti continuamente ridipingono; nelle apocalittiche sirene dei pompieri; nei cheddar bites di Chili’s e in tutte queste strade. Ovunque strade strade strade. Immerse nel verde, piene di vuoti capannoni abbandonati, vecchi diabetici che girano col deambulatore e ragazzine sporche con le infradito e le canottiere che tirano sulla schiena. Strade che portano dentro e fuori dal bosco; lunghissime, larghe e polverose, abbacinate da un sole furente o tempestate di piogge improvvise come monsoni indiani. Cosa legge a fare, uno, qui, se ogni volta che esce di casa rischia di incontrare un orso? Cerbiatti, scoiattoli e marmotte, ormai, vivono accanto a noi. I serpenti rossi e neri ci sono ma non si fanno vedere. E se gli orsi stanno davvero in agguato da qualche parte, allora è meglio tenere gli occhi bene aperti e preparare le pallottole. Non c’è bisogno di aprire nessuna finestra in nessun libro, da queste parti: basta uscire fuori sotto il portico per finire dentro qualche strana e inspiegabile avventura, perché “la verità è che, in America, si può trovare del Faulkner in natura, così, bell’e pronto” – diceva Emilio Cecchi, uno che di libri e di qui s’intendeva. Infatti scrisse America amara, si perse dentro foreste magiche, grattacieli fantasma, templi aztechi e per poco non fu arrestato per un carico di bottiglie di whisky che invece contenevano acqua.

Quindi gli orsi qua fuori – si diceva; e niente libri da leggere. Perché c’è l’America che romba forte e ringhia il suo gigantesco e barbarico grido proprio oltre la porta: bisognerà pure risponderle, in qualche modo.

Un orsoultima modifica: 2022-07-22T16:19:11+02:00da capecchi
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